Nel panorama della ristorazione di quella che fu la prima capitale d’Italia, “Giudice” per oltre mezzo secolo ha rappresentato un indiscutibile punto fermo, apprezzato sia per il suo collocarsi nel cuore della collina torinese sia per una cucina da sempre ancorata senza se e senza ma alla tradizione piemontese. Sui tempi lunghi tuttavia, proprio quest’ultimo aspetto aveva finito col veder trasformata la filologica fedeltà ai piatti del passato in una zavorra destinata di fatto a inibire ogni anche più piccolo mutamento, fissando le proposte del locale a un passato forse incapace di parlare ancora al presente.

Rompere questo incantesimo, che finiva col penalizzare quella che per la Torino enogastronomica era stata un’istituzione quasi storica, non dev’essere stato facile. Tuttavia gli chef Marco Granato e Carmelo Damiano, coadiuvati dal maître Diego Bava, sembrano esserci riusciti. E i risultati di questo cambio di passo, sabaudamente gestito in modo graduale e quasi in sordina, ora cominciano a vedersi davvero: nei sapori coraggiosi che i piatti hanno assunto, nella creatività colorata della loro mise en place, nella qualità della proposta dei vini e, non ultimo, nella professionalità di un’accoglienza che vi farà stare bene.

Proprio questi sapori coraggiosi, il cui tratto innovativo non manca comunque mai di avere come riferimento la tradizione, paiono ormai rappresentare lo stesso file rouge lungo il quale l’attuale cucina di “Giudice” si muove. E noi li abbiamo particolarmente apprezzati nel gustoso Petto d’anatra di Barbarie “Selecta” al fieno su camouflage, nell’intrigante Filetto di Baccalà con crema di frutto della passione e cioccolato bianco Valrhona e infine nel dessert, nel quale tuttavia il pur riuscito abbinamento tra Tabacco, cacao Valrhona e caramello salato ci è sembrato avere ancora bisogno di una qualche “registrazione”.

La strada intrapresa da “Giudice” in questo suo nuovo corso – e la certezza l’avrete quando in un ambiente elegante e professionalmente gestito assaggerete i piatti che vi verranno proposti – risulterà interessante non solo per il presente, ma anche per il futuro. Il ruolo che nella brigata di cucina giocano le giovani generazioni lascia infatti ben sperare: la sarda in pasta kataifi ripiena di tapenade e la carne cruda battuta al coltello alla milanese, pur nella loro ancora dinamica ricerca di equilibrio, dicono di una passione destinata a crescere. E a far crescere ancora la qualità complessiva di questo ristorante.

Testo di Piergiuseppe Bernardi

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