Territori DOCG, un futuro da depositi di rifiuti radioattivi?
Il grave impatto ambientale che si profila sarebbe un cocktail micidiale di distruzione per i territori e di tutto il patrimonio ampelografico italiano.
Pur essendo stato uno dei primi vini italiani a vedersi riconosciuto nel 1967 come DOC, la storia dell’Erbaluce di Caluso non è stata una facile. I suoi promettenti inizi dovettero infatti scontrarsi, proprio nel territorio in cui questo vitigno cresce, con il sogno industriale qui sviluppato da Adriano Olivetti. Solo l’infrangersi di questo disegno sembrò più tardi restituire a chi abitava queste terre il coraggio di reinvestire su di esse, puntando su un vino tanto antico che già Giovanni Battista Croce, gioielliere dei Savoia e autore nel Seicento di un lungimirante saggio sui vini della montagna di Torino, ne aveva segnalato il risplendere degli acini alla luce del sole.
La ripresa di quei lontani inizi, dopo la crisi industriale abbattutasi sul Canavese, sta però ora dando finalmente i suoi frutti. Orsolani, Cieck, La Masera – tutti rappresentati nella sala di Confagricoltura in cui, alla presenza del neopresidente Tommaso Visca, nella giornata di ieri si è fatto un rapido punto della viticoltura torinese – sono ormai nomi capaci di attestare, con la qualità delle loro etichette, come il cammino dell’Erbaluce di Caluso stia procedendo spedito. E come questo vino – divenuto docg nel 2010 nella triplice versione ferma, spumantizzata e passita e promosso attraverso dell’Erbaluce Day (Torino, Palazzo Birago, lunedì 11 giugno), abbia davanti a sé un futuro ancora tutto da scrivere.
Proprio il successo che l’Erbaluce sta ottenendo, il cui crescente trend produttivo è provato sia dalla qualità raggiunta sia dalle 900.000 bottiglie sfiorate nel 2017, sta connotando questo vino come qualcosa di diverso dal prodotto di nicchia che finora è stato. Sembrano dunque esserci le basi perché l’Erbaluce possa divenire un elemento di richiamo anche per il territorio di cui è espressione, la cui ricchezza culturale ed artistica potrebbe trovare in esso un biglietto da visita di prim’ordine. Così come paiono maturi i tempi per fare di questo vino del Canavese un modello per altre tipologie che, proprio sul territorio torinese, stanno incamminandosi su questa stessa strada.
In questo senso, a seguire i passi dell’Erbaluce sembra essere il ben più recente rilancio vitivinicolo in corso nell’area del Pinerolese. Come ha spiegato Luca Trombotto, da pochi mesi presidente del relativo consorzio di tutela, le particolarissime condizioni di quest’area, legata a vitigni autoctoni e a impianti realizzati non di rado in terrazzamenti che ne rendono complicata la coltivazione, fanno sì che la produzione rappresenti al momento appena il 6% della viticoltura torinese. Queste difficoltà tuttavia, proprio a partire dall’esperienza dell’Erbaluce, possono essere considerate non solo sormontabili, ma affrontabili invece in modo da far crescere in quantità e qualità vini la cui produzione, pur limitata, si sta rivelando molto promettente.
Testo di Piergiuseppe Bernardi
Il grave impatto ambientale che si profila sarebbe un cocktail micidiale di distruzione per i territori e di tutto il patrimonio ampelografico italiano.
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È da ben due secoli che la Maison Delamain, guidata di generazione in generazione da una particolarissima filosofia di produzione, pensa e vive il Cognac.
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