Sono poche le curve che separano Cividale del Friuli da Cialla, una vallata verdissima con qualche vigna circondata dai boschi. Una terra di confine che, con Ronchi di Cialla, si scopre storicamente vocata alla produzione di vino in cui si cimentano Dina e Paolo Rapuzzi. Nel 1970 la coppia lascia la certezza di un lavoro in fabbrica in favore dell’abbraccio del vento che spira da est. Segnate dallo spartiacque di una terra magica, sono due le antiche cultivar che tracceranno una storia destinata a diventare quella di un’intera denominazione: il Refosco dal Peduncolo Rosso e lo Schioppettino.
Le prime vinificazioni di queste uve indigene trovate a Cialla all’ombra della legalità, anche grazie al supporto mediatico di Luigi Veronelli, saranno in seguito riconosciute e ammesse nel disciplinare di produzione. Il progetto è tenace e, anche se partito in salita, tra vendemmie complicate e il terremoto del sei maggio del 1976, si rivelerà vincente. In uno dei più importanti vivai vitivinicoli del mondo, Rauscedo, una varietà porta ancora il nome “Rapuzzi”. “Una vite di schioppettino – come diranno gli stessi Rapuzzi – resa disponibile a tutti per sfidarsi nel mercato”
La superficie vitata di Ronchi di Cialla, oggi pari a trenta ettari, è totalmente gestita dalla seconda generazione della famiglia: Ivan e Pierpaolo, entrambi periti agrari e laureati in Scienze delle Preparazioni Alimentari. Una generazione “nata in vigna” e “per la vigna”, che alimenta il progetto dei genitori operando in un regime rispettoso della natura che porta nel 2015 all’ottenimento della certificazione Biodiversity Friend e alla scelta di produrre anche vini più moderni da affiancare alla Ribolla Gialla, al Verduzzo, al Refosco, al Pignolo, allo Schioppettino e al Picolit.
Cialla, dal 1995, è anche l’unica sottozona dei Colli orientali del Friuli D.O.C., un grande parco in cui Ronchi di Cialla si distingue con vini longevi, di grande acidità e basse gradazioni alcoliche. Caratteristiche che non mutuano con l’affinamento in bottiglia, riuscendo al contrario a palesarsi fin negli assaggi più embrionali. È quanto accade con un Ciallabianco del 2016: un blend di uve friulane (ribolla gialla, picolit e verduzzo) che costella la beva con cenni di idrocarburi, fiori bianchi e rugiada. Un bianco che presenta egregiamente il territorio e chi lo gestisce in monopolio.