San Giors, per chi ha conosciuto la Torino d’antan, è un nome che evoca il passato glorioso della ristorazione del capoluogo piemontese. E poco importa se le vicende successive hanno finito col precipitare questa storica locanda in situazioni incapaci di lasciar trasparire la grandezza del suo passato. Il filo della memoria non si è spezzato ed ha trovato in Simona Vlaic la persona pronta a scommettere su questi antichi muri di Porta Palazzo. E a farli divenire oggetto di un recupero davvero capace di restituirli all’ospitalità e alla cucina che qui sono state a lungo protagoniste assolute.
A far nuovamente brillare il tratto piemontese della cucina, quello stesso per il quale in passato il locale divenne celebre, è stato chiamato lo chef Manolo Murroni. Il suo obiettivo al San Giors, dopo anni di esperienza acquisita in blasonati locali di tutta Europa, non sembra tuttavia semplicemente quello di riproporre i piatti tipici piemontesi in una versione filologicamente fedele alla tradizione. Murroni infatti, senza per questo sottrarsi a questa specifica sfida, sembra voler andare oltre, creando nuovi piatti nei quali i sapori subalpini sappiano esprimere a fondo tutte le loro potenzialità.
Le forme antiche dei tavoli del San Giors trovano così un nuovo respiro nei colori di piatti che potrete assaggiare: dal tradizionale “vitello tonnato alla maniera antica” al già più elaborato “risotto al peperone con salsa d’acciuga e rana brasata”, dal coraggioso “crudo di tonno su crema al cioccolato, quenelle di fois gras, crunch di pane carasau e salsa al moscato passito” all’intrigante “filetto di triglia alla mediterranea su crumble di cappero con pomodorino confit agli agrumi e polvere di olive taggiasche”. Tutte proposte capaci, forse proprio laddove sembrano allontanarsi di più dalla tradizione, di lasciarla comunque trasparire efficacemente.
Sarebbe però del tutto fuorviante pensare al San Giors soltanto come a un ristorante. Forse il tratto più innovativo del disegno di chi ha voluto far risorgere questo locale dalle sue ceneri è stato di non fargli perdere, nel tentato recupero, la sua identità originaria: quello di locanda a tutto tondo, in cui la cucina piemontese interseca l’ospitalità sabauda. Magari attutendo la raffinata sobrietà di quest’ultima con l’esplosiva creatività attraverso la quale diversi artisti hanno saputo rendere luminose ed accoglienti le tredici suggestive camere di questo hotel rinato nel cuore della Torino più popolare.
Testo di Piergiuseppe Bernardi