La qualità del Gavi, raccontata a Milano nel corso di un’articolata presentazione tenutasi nella splendida cornice di Palazzo dei Giureconsulti, è tutta riassunta nelle parole scandite a conclusione dell’evento dal presidente del Consorzio di Tutela Maurizio Montobbio: «Il Gavi avrà un grande futuro grazie alle sue notevoli potenzialità e alla tenacia dei suoi produttori». E c’è da crederlo visto che questo sorprendente vino bianco piemontese, radicato in una storia che rimanda addirittura alla fine del primo millennio della nostra era, sta connotandosi inaspettatamente come vino capace di durare a lungo nel tempo.
Veicolare al grande pubblico l’idea che il Gavi non sia semplicemente un buon vino per accompagnare stuzzichini e antipasti o piatti di pesce e verdure, ma si configuri invece come un prodotto la cui longevità gli consente di supportare anche ben più potenti sapori, era indubbiamente l’obiettivo del primo momento di “Tutto il Gavi a Milano”: una degustazione, riservata a giornalisti e professionisti del settore, nel corso della quale sono stati proposti alla valutazione dei presenti due vini per ogni annata dal 2017 al 2007.
E le sorprese non sono mancate. Man mano che le annate sono andate a scalare, partendo dalle più recenti per risalire alle più remote, i sentori e i gusti delle diverse etichette di Gavi hanno lasciato affiorare una complessità inattesa. Evidentemente le diverse etichette, legate alle condizioni climatiche tipiche di ciascun anno e segnate nella loro identità dalla mano dei diversi produttori, sono state connotate in modo peculiare dallo scorrere del tempo. E se qualche bottiglia ha forse inevitabilmente mostrato di reggere un po’ a fatica l’invecchiamento, larga parte di esse è invece parsa capace di declinare i colori tenui del suo vino con una forza davvero in grado di stupire.
Pur restando del parere che la longevità di di un vino si misura soprattutto nella sua capacità di abbinarsi a cibi più o meno specifici, non possiamo nasconderci che alcune etichette, senza nulla togliere alle altre, ci hanno colpito non solo per la complessità della loro struttura, ma anche per l’ulteriore evoluzione cui sembrerebbero destinate. Ed è per questo che con la Tenuta Massimiliana 2007 del Marchese Luca Spinola, col Monterotondo 2007 di Villa Sparina, con la Vecchia Annata 2009 di Broglia, con il Mandorlo 2010 di Tenuta san Pietro in Tassarolo e con la Vigna della Rovere Verde 2011 de La Mesma, non ci spiacerebbe affatto provare ad accompagnare una buona cena.
Testo di Piergiuseppe Bernardi