Collazzi, quando la tradizione vitivinicola guarda al futuro

di Giovanna Moldenhauer

Collazzi è il vino simbolo dell’omonima Fattoria situata a Impruneta lungo quello che è considerato l’Anello del Rinascimento. Nei saloni affrescati dell’omonima villa, progettata da Santi di Tito, allievo di Michelangelo Buonarroti, è stata presentata alla stampa una verticale di cinque annate, dal 2001 al 2019, per andare a scoprire il potenziale di invecchiamento di questo vino. Assolutamente in linea con questo contesto storico la bottiglia di Collazzi, ancora oggi immutata dal 1999 prima annata, è vestita da un’etichetta che riproduce la stampa settecentesca di Giuseppe Zocchi dedicata proprio alla Villa.

Fattoria I Collazzi, posizionata a cavallo di tre comuni del fiorentino, Impruneta, Scandicci e San Casciano, ha un’estensione di circa 400 ettari, di cui 250 di boschi, 140 a oliveta e 33 a vigneto. Gli impianti viticoli oggi hanno circa 30 anni, su terreni ricchi in galestro, la roccia tipica di questa zona della Toscana, con un clima continentale, con piogge concentrate in primavera e autunno e estati calde e lunghe.

Ad accoglierci, in occasione della magica verticale oltre alla Marchesa Bona Frescobaldi, aristocratica signora del vino e dell’olio, moglie del Marchese Vittorio, troviamo anche l’enologo Alberto Torelli, in azienda da quasi 20 anni.

“A Collazzi si sperimentano cose uniche perché si sa cosa si fa”, commenta Torelli prima della verticale. Una cantina in cui il vigneto è il fulcro delle sperimentazioni, da un lato rivolte alla riduzione dell’impatto ambientale, come ad esempio con lo studio degli insetti utili per combattere i parassiti, e dall’altro alla gestione delle variazioni climatiche, attraverso le prove di potature lunghe, per evitare i danni delle gelate primaverili e per fare in modo che le gemme produttive partano dopo. Un lavoro che implica una doppia potatura ma che può costituire una risposta a una problematica di importanza crescente. La sperimentazione passa anche per la verifica delle potenzialità dell’area per varietà oramai dimenticate nel territorio. Dopo essere stati tra i primi a impiantare i due Cabernet Franc e Sauvignon, il Merlot nel territorio, nel 2000 si è scelto di aderire allo studio sul Fiano, condotto dalla Regione Toscana, da cui si ottiene Ottomuri, l’unico IGT Toscano prodotto al 100% da questa varietà autoctona italiana. Un vitigno che qui ha trovato condizioni ideali, ottenuto da 3 vendemmie per lo stesso vigneto, con una 1 raccolta delle uve destinate a preservare l’acidità, la 2 per esaltare il frutto, mentre l’ultimo passaggio permette di selezionare i grappoli che daranno pienezza al vino. Le uve provenienti dalla 1 e dalla 2 vendemmia sono vinificate in acciaio, la parte proveniente dalla 3 fermenta in barrique e rimane sulle fecce per 8 mesi. Una pratica che consente la riduzione al massimo il contenuto in solfiti, grazie al potere di sottrazione dell’ossigeno delle fecce stesse. L’assaggio della 2022 ci ha particolarmente colpiti per la sua intensità, equilibrio, eleganza, facendoci scoprire un vino inaspettato nel contesto dell’Impruneta.

Tornando alla verticale di Collazzi dal 2001 al 2019, realizzato sin dalle prime annate con nell’ordine da Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc. Solo dal 2009 è stato introdotta una percentuale del 5% di Petit Verdot. Da sempre matura in barrique da 225 litri di rovere francese dai 18 mesi iniziali sino ai 22 attuali. La 2001, ancora di grande eleganza, equilibrio, non ha assolutamente dimostrato i suoi anni dando nell’assaggio bellissime sensazioni. La 2005 dal tannino ancora vivo ci ha dato un assaggio emozionale. La 2008 si è presentata invece nel suo momento ideale tra un naso di grande complessità, un palato di grande armonia, intensità, eleganza, morbidezza. Passando agli anni ’10 la 2015, in cui per proteggere i grappoli da scottature, non è stata fatta quasi nessuna defogliatura in vigneto. Il risultato in degustazione è stato di un vino dal naso sfaccettato con toni balsamici, le pirazine del Cabernet Franc in risalto, con sensazioni tra i piccoli frutti di bosco scuri, spezie, liquirizia. In bocca è avvolgente, morbido, di grande persistenza. L’ultimo vino della verticale è stato il 2019, di grande giovinezza, con frutta rossa croccante, seguito dalle spezie e dalla macchia rossa mediterranea. Al palato oltre ai tannini decisamente presenti ha un ritorno di frutta rossa succosa bilanciata da soffi speziati.

Una verticale, completata da sorsi anche delle annate 2016 e 2020, dove abbiamo ritrovato, complice la mano dell’enologo Torelli, un preciso fil rouge con le cinque annate della verticale, dato indubbiamente dal contesto di Fattoria I Collazzi. Una realtà vitivinicola che ha, sin dalle prime vendemmie alla fine degli anni ’90, avuto una attenzione maniacale a tutti i passaggi sia in vigna che in cantina, attuato nei decenni sperimentazioni agronomiche, attenzione alla sostenibilità, vinificazioni tese a esaltare quello che le vigne danno.

Le nostre brevi note degustative testimoniano quanto abbiamo apprezzato alcuni piatti dell’attigua Locanda Collazzi, guidato dalla giovane chef Angela Tucci che esalta nelle sue creazioni culinarie i prodotti provenienti dall’orto contiguo. Un momento conviviale in cui abbiamo riassaggiato diverse annate della verticale di Collazzi, in cui abbiamo confermato le sensazioni precedenti.