Dal design alla pittura

Guido Venturini è un importante designer che però da molti anni si dedica prevalentemente alla pittura lungo un nuovo percorso ad un tempo estetico e spirituale. Il rinnovato gusto per il colore e per la materia, con la scelta di abbandonare il “progetto” – freddo e seriale – per dedicarsi alla realizzazione di pezzi unici, riflette un principio etico: attraverso il gesto che dà spazio all’istinto, l’autore prende posizione sul valore della modernità e dei suoi simulacri. Una posizione critica e postmoderna, già percorsa da tutti quegli artisti che, di recente, sono passati da esperienze concettuali alla figurazione della “transavanguardia”. 

Pittura stupida

In un’epoca in cui domina il pensiero tecnologico e il mondo diventa virtuale e riproducibile in una forma standardizzato, l’atto creativo può e deve violare gli interstizi tra i logaritmi per liberare la sua “stupidità d’istinto”: e cioè il motore incontrollato della vita e dell’umanità, basato su pulsioni organiche sostenute dal calore del sangue. Quest’ultimo, in un’ottica pareysoniana, non si sviluppa solo nell’esercizio fisico del fare arte, ma anche nel tornare a riflettere sul contrasto tra natura e cultura per assumersi la responsabilità di fare nuove scelte.

Il selvatico

Le scelte di Venturini privilegiano dunque la dimensione del “selvatico”. Tra natura e cultura Venturini sceglie la natura e lo manifesta nei soggetti delle sue opere che sono tipici di un “realismo semplice”, distante dalla retorica romantica dei grandi paesaggi e dal conformismo ecologista dell’ambientalismo. La natura di Venturini non è pittoresca e monumentale, ma intima e domestica, vicina, microscopica. E il riferimento al “selvatico”, alla “selva”, all’esperienza di vita non addomesticata dalla civiltà accentua così la componente affettiva e poetica di un mondo semplice, fatto di cose minime. 

Una vocazione metafisica

Questo mondo semplice e selvatico, da una parte, induce alla contemplazione e alla meditazione. Dall’altra, è in grado di attivare una potenza evocativa che solo le “cose” minime possono sollecitare. Perché queste piccole “cose” viventi non sono dipinte in modo semplicemente descrittivo e icastico, ma sono distillate e trasfigurate in una dimensione di naturalismo simbolico che indica una vocazione metafisica e un’emergenza spirituale: un’emergenza espressiva di ordine salvifico e selvatico.