La scoperta di un viticoltore di San Miniato, avvenuta agli inizi degli anni novanta in collaborazione con l’Università di Agraria di Milano e con l’Istituto sperimentale di Selvicoltura di Arezzo, ha permesso di accertare che 213 ceppi, presenti nella sua vigna, fossero di Tempranillo, varietà tipica della Spagna e, almeno apparentemente fino ad allora mai coltivata in Italia.

Tutto ebbe inizio con il lavoro degli avi di Leonardo, mezzadri in queste terre già prima della seconda guerra mondiale e alle dipendenze dei marchesi Ridolfi, proprietari di tutta l’area est di San Miniato. E se nel 1954 il nonno Giuseppe riesce ad acquistare la terra che lavorava da sempre, sarà Pietro Beconcini, a partire dal 1960, a dare una svolta all’attività e a focalizzare la sua attenzione sulla produzione di vino. 

Quando nel 1990 Leonardo subentrerà al padre, sceglierà di nutrire quel legame con la terra che l’ha cresciuto, decidendo d’intraprendere un’accurata selezione dei suoi vigneti, di fare nuovi impianti e di ampliare la produzione dai tre ettari di allora agli attuali quattordici vitati. Per mettere in pratica il suo progetto, incuriosito dalla presenza dei ceppi centenari a piede franco, comincia a fare studi agronomici sui cloni di Sangiovese, Canaiolo, Malvasia Nera, Colorino, varietà tipiche della zona. Ed è a questo punto che, grazie agli studiosi di ampelografia da cui è supportato, si troverà di fronte una scoperta inattesa: nelle sue vigne è presente il Tempranillo, varietà a quel momento non iscritta tra quelle coltivabili in Italia. Di qui la decisione di dedicare interamente a questa varietà iberica un vigneto di tre ettari e mezzo. I tempi dell’operazione vanno dal 2000 e il 2009 e il nuovo impianto viene messo a punto grazie a una selezione di gemme da piante sane alla potatura successivamente innestate con estrema cura. E sarà da questi filari che, dopo diverse prove di leggero appassimento e vinificazione, Leonardo approderà alla produzione del Vigna le Nicchie, vera e propria “chicca” nata da viti centenarie e messa in bottiglia a partire dal 2005. 

Tutto questo lavorio, sempre supportato da un continuo confronto con il mondo della ricerca, porterà questa insolita varietà, nel mese di giugno 2009, a essere ufficialmente iscritta tramite uno specifico decreto all’Albo toscano dei vigneti. Si dovrà così attendere il 2017 per assistere all’impianto del primo vigneto di Tempranillo – da vigna storica su piede franco – interamente clonale. E dunque legato a una moltiplicazione di barbatelle avvenuta a seguito dell’individuazione delle piante capostipiti e di saggi virologici.

Desideroso di fare assaggiare una verticale del suo cru Vigna le Nicche, condividendo la ricerca e fare conoscere diversi vini della sua gamma produttiva, Leonardo ha scelto il “bistro di Aimo e Nadia”, dove ha avuto luogo una degustazione seguita dalla cena. Il locale, sito nei pressi del Cenacolo di Leonardo da Vinci in centro a Milano, è nato dal felice incontro tra Il Luogo di Aimo e Nadia, insegna di riferimento della cucina gourmet italiana da oltre cinquant’anni, e Rossana Orlandi, influente gallerista del design d’avanguardia. Gli interni curati interamente dalla Orlandi abbinano pezzi vintage ad altri di nuova produzione in un’ambientazione decorata con carte da parati e tessuti appositamente creati da Etro Home.

Incuriositi ascoltiamo Leonardo raccontare l’origine delle viti centenarie di Tempranillo: “La nostra azienda è a poche centinaia di metri da una zona archeologica di posta romana, in prossimità di Ponte a Elsa. Si presuppone che questo fosse, da secoli, un luogo di transito e che sia stato utilizzato come una delle direttrici per Roma della via francigena. Da alcune ricerche effettuate s’ipotizza così che alcune famiglie di pellegrini spagnoli possano aver seminato questa varietà iberica nelle vicinanze di San Miniato”.

Beconcini ha introdotto la verticale con un’accorata dichiarazione d’amore per queste sue viti, cercando di trasmetterci, attraverso l’assaggio di dieci annate, il suo messaggio empatico su Vigna le Nicchie. Le annate dal 2005 al 2011 erano, a esclusione di quella maggiormente evoluta 2008, in perfetta forma, evidenziando diversi sentori terziari. Capace di stupire poi è stata l’analisi olfattiva delle annate più datate, in particolari quelle del 2007 e del 2010, nelle quali l’assaggio era setoso e di struttura, vibrante e dalla lunga persistenza. I millesimi più giovani, 2012, 2013 e 2015, si sono rivelati di grande piacevolezza e complessità olfattiva, restando invece meno morbidi in bocca, ma già di buona lunghezza. 

L’aperitivo con Fresco di Nero, da una vendemmia anticipata di Tempranillo, con i suoi fragranti profumi e il suo sorso ad un tempo piacevole e complesso, ci ha poi introdotti alla cena, firma della cucina bistellata di Negrini e Pisani, chef di Aimo e Nadia. A dare inizio alle danze è stato un uovo morbido su crema di pane a lievitazione naturale, broccoli e acciughe, cui il produttore ha abbinato il Chianti Riserva Pietro Beconcini 2016, dedicato al padre: i sentori del Sangiovese, dalla prugna al sottobosco, dalla viola mammola al cuoio e caffè, sono seguiti da un sorso rotondo e corposo. La cena è poi continuata con un risotto Carnaroli Gran Riserva con funghi porcini, fegatini di pollo di fattoria e salsa di vitello, abbinato questa volta all’IXE 2011, altra espressione del vitigno ispanico maturato in barriquese tonneaux per dieci mesi e per altri dieci in bottiglia: intrigante per i suoi profumi di fiori e frutta, per la sua percepibile mineralità e per il suo assaggio morbido, fresco e bevibile. 

Con l’agnello accompagnato da cavolfiori arrosto e cicoria ripassata, Leonardo ha poi deciso di farci appassionare al cru di Sangiovese Reciso, declinato in due annate molto espressive: dapprima il 1997, senza dubbio tra i primi risultati della sua gestione, puntati su lunghe selezioni massali da vecchi vigneti le cui viti hanno tra i quarantacinque e i venticinque anni e capaci di tradursi in profumi di arancia, rabarbaro, orzo che sfumano su note terziarie di china e cuoio, con un lunghissimo ed elegante finale che richiama il cioccolato fondente; poi il 2016, ottenuto da una vendemmia di quasi vent’anni dopo, segnato in primo piano dal frutto di bosco seguito da intense note di mora e accenni di caffè, e all’assaggio già morbido, di buona lunghezza destinato a dare il meglio di sé tra qualche anno.

L’incontro con Leonardo Beconcini ed Eva Bellagamba ci ha permesso di conoscere un vignaiolo appassionato che desidera fare conoscere il territorio di San Miniato, di degustare i suoi vini dotati di uno stile senza compromessi, assaporando le sue interpretazioni di inconsueto Tempranillo che, come ha dimostrato la splendida verticale, sembra aver trovato in Toscana un nuovo habitat ideale.