È una storia senza tempo né soluzione quella che riguarda il furto della “Natività” del Caravaggio che, trafugata nel 1969 a Palermo, continua ad essere oggetto di interesse di esperti d’arte, giornalisti e magistrati. L’artista, che condusse una vita ricca di passioni e tormenti, fuggì da Roma nel 1606 dopo l’omicidio di un rivale e si spostò sempre più verso il sud d’Italia, trovando accoglienza tra facoltosi protettori che cercarono di ottenerne la grazia, arrivata postuma.

Questa fuga incessante lo portò a Palermo dove la sua opera e la sua presenza sono ancora legate a quello che nei giorni scorsi è stato chiamato “L’affaire Caravaggio”: discusso in un dibattito, tenutosi recentemente alla Galleria di Palazzo Abatellis, tra giornalisti e magistrati, dirigenti regionali del settore beni culturali ed esperti d’arte. Con l’obiettivo di fare il punto sulla vicenda che ha proiettato questo capolavoro, suo malgrado, in un orizzonte che oscilla tra cronaca nera e racconto giallo.

Proprio nella notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1969, la “Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” del Caravaggio, dipinto a olio su tela di grandi dimensioni, fu sottratto dall’altare maggiore dell’Oratorio San Lorenzo di Palermo. L’opera, dall’inestimabile valore economico e artistico, da quella lontana notte è al centro di un complicato e sempre aperto caso giudiziario, che lo vuole rubato e ancora custodito dalla mafia palermitana.

Di anni ne sono ormai passati più di cinquanta. E che il terribile gesto sia avvenuto su commissione di malavitosi siciliani e l’opera, tagliata in più parti, sia sepolta nelle campagne palermitane o custodita da banchieri svizzeri, sono ipotesi al momento destinate a restare senza conferma. Con un’unica certezza: quella che anche la Natività di Caravaggio, come del resto in precedenza il suo autore, continui a vagare senza grazia per il mondo.

Testo di Cinzia Taibbi