Ormai da qualche anno il passaggio generazionale è andato concretandosi in casa Chiarli.
Un evento non facile per molte aziende, capace di creare grossi problemi, provocando scompensi e situazione che, in alcuni casi, hanno messo a rischio la sopravvivenza delle stesse. Del resto il ceppo “a piede franco, pre filossera”di casa Chiarli dava delle valide probabilità che l’innesto riuscisse bene, e così è stato.

Lambrusco Chiarli

I figli di Anselmo e Mauro Chiarli sono entrati in pianta stabile nel sistema aziendale, dividendosi i compiti come fecero i loro padri. Stefano e Giorgio, i figli di Mauro, hanno trovato il loro spazio ideale nel comparto agricolo e produttivo delle 7 tenute di famiglia che occupano una superfice vitata di oltre centoventiettari vitati; Carlo, il terzo figlio di Mauro, e Tommaso, il figlio di Anselmo, hanno invece preferito occuparsi dell’azienda vinicola dividendosi i compiti con chi cura gli aspetti amministrativi e chi la parte commerciale nazionale e internazionale.
Tommaso, da quello che capisco, ha voluto fortemente occuparsi delle vendite e delle strategie di marketing aziendali. Avanti quindi con la quinta generazione che condivide la stessa passione ormai consacrata nel DNA della famiglia, traducendosi in una storia di oltre 160 anni, volta a esprimere e a valorizzare il meglio delle uve autoctone di questa zona. Già anche questo aspetto per Chiarli è un bel primato.

Occuparsi per tutti questi decenni solo del Lambrusco è una rarità assoluta in Italia.

Modellare e ragionare sulla duttilità ed ecletticità dei vari biotipi che compongono la famiglia dei Lambruschi ha portato a grandi risultati. Nessuno della famiglia ha tentennato su questa scelta decidendo, magari, di recidere quel cordone ombelicale che lega i Chiarli al Lambrusco, anche durante i periodi storici che sembrano dissacrare lo stesso nome di questo vino. Per loro è sempre stata la fonte ispiratrice, il centro del progetto aziendale senza distorsioni o divagazioni sul tema, il simbolo del marchio aziendale.
Oggi, più che mai, al Lambrusco si combina il nome Chiarli. Ormai sono oltre 20 milioni le bottiglie e fanno parlare di questa cantina in Italia e altri 50 paesi sparsi in tutto il mondo, dove le nuove generazioni conoscono prodotti molto diversi da quelli proposti loro nei 5 decenni del dopo guerra del secolo passato.

Oggi la ricerca della qualità sta pagando un sempre più nutrito nucleo di produttori che sta puntando ad alzare il valore stesso di questo vino. Sono un gruppo di giovani viticoltori che hanno compreso che i nuovi consumatori devono essere raggiunti con altri sistemi rispetto al passato,usando il web è con esso le decine di piattaforme che offre. Parlare con il mondo, oggi,è più facile e lo è ancor di più, come mi suggerisce Tommaso, farlo avendo alle spalle un territorio come quello emiliano interessato da sempre alla coltura del lambrusco.

Questa è un’area che offre non solo prodotti agroalimentari unici nel panorama mondiale, ma eccellenze imprenditoriali che hanno segnato la storia dell’automobilismo a livello planetario, scatenando passioni indescrivibili, il tutto abbinato a una gastronomia che vanta valori qualitativi di inestimabile valore. Ecco che l’accoglienza diventa un altro mantra da percorrere, integrandolo perfettamente con quanto descritto sopra, diventando, di fatto, un ulteriore volano.
Sono idee chiare quelle di Tommaso, improntate sulla dinamicità e contemporaneità non solo all’azienda di famiglia ma al sistema Lambrusco e al territorio, entrambi espressione di una eccellenza italiana dalle potenzialità enormi.