«Il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da “palcoscenico” durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare pizzaiuolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale».

È con queste parole che nella giornata di oggi il Comitato Intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio immateriale dell’Unesco, riunito a Seoul, ha definitivamente inserito il mestiere del pizzaiuolo nel Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità. Si conclude così il lungo iter che, avviato nel 2009 dal Ministero delle Politiche Agricole in stretta collaborazione con le Associazioni dei Pizzaiuoli e con la Regione Campania, oltre che con Coldiretti e Univerde, è giunto nelle scorse ore ad un esito positivo. Non senza che sul finale un sia pur breve rinvio abbia suscitato un qualche timore in chi sosteneva la candidatura del prodotto italiano.

L’arte dei pizzaiuoli napoletani diventa così il settimo dei tesori immateriali italiani ad essere iscritto nel Patrimonio nella prestigiosa lista dell’Unesco. In essa, in precedenza, hanno via via trovato posto l’opera dei pupi (iscritta nel 2008), il canto a tenore (2008), la dieta mediterranea (2010), l’arte del violino a Cremona (2012), le macchine a spalla per la processione (2013) e la vite ad alberello di Pantelleria (2014). Con il recentissimo inserimento dell’arte della pizza viene dunque a colmarsi una lacuna inaccettabile, tenuto conto che la pizza non solo è il prodotto italiano più conosciuto al mondo, ma anche che le sue imitazioni rischiano di dissolverne gradualmente, sul piano sia culinario sia culturale, l’identità originaria.

L’inclusione dell’arte dei pizzaiuoli napoletani nel Patrimonio dell’Umanità Unesco – a detta delle organizzazioni pubbliche e private che ne hanno sostenuto la candidatura – consentirà di tutelare meglio un settore che vale 10 miliardi di euro, dando un impiego a 100mila lavoratori fissi, cui va aggiunto un numero di altri 50mila nel fine settimana. Il tutto per produrre ogni giorno, nelle 63mila pizzerie e locali analoghi, ben 5 milioni di pizze. Ed è proprio questa diffusione ad aver aumentato a dismisura la popolarità della pizza: essa infatti, se in Italia è considerata il simbolo culinario stesso del nostro Paese, a livello internazionale ha fatto sì che la parola pizza divenisse la parola italiana più conosciuta al mondo.

Testo di Piergiuseppe Bernardi

http://www.pizzanelmondo.org/en/neapolitan-pizzaiuoli-in-the-unesco-heritage/