Oltre l’omologazione

Nel frequentare le grandi città o le aree turistiche in voga anche per l’attrattiva gastronomica che esercitano, non di rado ci si trova di fronte ad un’omologazione piuttosto generalizzata. Se cioè non si punta sul creativo, ma sulla cucina tipica, spesso si va incontro a cocenti delusioni. In una parola i piatti della tradizione sembrano “standardizzati” perdendo proprio quel tratto distintivo che li rende unici e che è la ragione per cui, leggendone i nomi all’interno di una carta delle vivande, li si è scelti. E nemmeno Roma, in questo senso, fa eccezione.

Chi cerca trova

Se però nemmeno Roma fa eccezione, anche a Roma le eccezioni non mancano. Così, non senza prima ritrovarci a uscire da alcuni locali tipici domandandoci perché fossero ritenuti tali, ecco la sorpresa. Nel quartiere san Lorenzo, appena fuori dal centro perimetrato dalle Mura Aureliane, scopriamo l‘Osteria da Marcello, in cui la parola tradizione non è solo uno slogan. E non solo in quanto sia sull’insegna esterna che sulle tovagliette di carta fa bella mostra di sé l’ormai lontano 1961, anno di nascita del locale, ma anche perché non tarderete ad accorgervi che i piatti qui sapranno trasmettervi il sorriso di chi ve li serve.

Da_Marcello_1961

Il coraggio di osare

Si fa presto a dire Carciofo alla giudia, Bucatini cacio e pepe o Trippa alla romana. Provate a venirli a mangiarle all’Osteria da Marcello e capirete che cosa sono davvero. Piatti non confezionati ad uso e consumo del turista di passaggio o dei palati schizzinosi del nostro tempo, ma coraggiosamente capaci di restituire la potente genuinità di una tradizione che rischia ormai di diluirsi in più o meno consapevoli contaminazioni fusion. Ovviamente non mancano piatti vegetariani o di pesce, ma cucinati con il preciso intento di lasciare che sia la materia prima a parlare e che la cucina la valorizzi senza troppi compromessi.

Tra pajata e coratella… in via di estinzione

L’autenticità della cucina romana, per un verso “addomesticata” nei piatti più facilmente rinvenibili, per l’altro è andata quasi smarrita in portate ormai ritenute da sempre più ristoratori – e in non pochi ce li hanno definiti così – “improponibili”. Limitiamoci a due esempi: i rigatoni con la pajata di vitello e la coratella di abbacchio. Due piatti che, mangiati all’Osteria da Marcello, hanno saputo commuoverci per la loro “filologica” potenza, capace di lasciar sperare che la cucina romana sappia uscire dalla crescente omologazione che la sta uccidendo. E che abbiamo accompagnato con la nota minerale di una bottiglia di Satrico in grado di farsi ricordare.

www.osteriadamarcello.com 

Credit: ph@piergiuseppebernardi