Rossorubino è un’enoteca che per i torinesi, col passare degli anni, è diventata un vero e proprio punto di riferimento: sia per i vini, che si possono degustare ed acquistare con il supporto competente di riconosciuti professionisti; sia per l’enotavola, che in un contesto informalmente elegante consente di assaggiare, ovviamente accompagnati da etichette di prim’ordine, piatti nei quali i ben riconoscibili sapori della tradizione piemontese non di rado sfumano in quelli della vicina Francia.

Proprio da Rossorubino, in una sera nella quale il locale era protagonista di una delle serate di Langhe in Tavola, già scorrendo il menù siamo stati colpiti da uno dei piatti proposti: batsoà e cavolo. Forse la prima di queste due parole, non solo per chi non è piemontese ma anche purtroppo per qualcuno che lo è, richiede di essere spiegata: con questo termine si indica il piedino di maiale impanato e fritto, così come quest’ultimo veniva cucinato nel contesto della cucina povera delle campagne subalpine.

Come altri piatti della tradizione incentrati su materiali di scarto, anche i batsoà sono stati di fatto marginalizzati: poco presenti sulle stesse tavole piemontesi, anche il loro nome era divenuto, ai più, quasi sconosciuto. Mentre però altri piatti analoghi sono stati fatti oggetto di un ricupero tanto massiccio da banalizzarli, il ritorno dei batsoà è invece avvenuto in forme meno eclatanti e, forse per questo, capaci di salvaguardarne la peculiarità. Proprio quella che, frutto di una cucina attenta e accurata, abbiamo trovato nella proposta arrivata in tavola da Rossorubino.

E, al di là dell’interessante barolo di Franco Conterno con cui è stato accompagnato, non si è affatto trattato di un piatto qualsiasi. La delicata croccantezza della panatura, la morbidezza della cottura dei pezzi di piedino di maiale, l’amalgama avvolgente del contrasto tra tenerezza e fragranza ne hanno fatto non solo una delle proposte più apprezzate della serata, ma anche l’emblema di una cucina che, senza sottrarsi a incursioni estranee al Piemonte, ha comunque in questa tradizione il suo dinamismo pulsante. Perché allora non mettere i batsoà anche in carta?

Testo di Piergiuseppe Bernardi

www.rossorubino.it

www.stradadelbarolo.it