Territori DOCG, un futuro da depositi di rifiuti radioattivi?
Il grave impatto ambientale che si profila sarebbe un cocktail micidiale di distruzione per i territori e di tutto il patrimonio ampelografico italiano.
Non appena sentirete parlare Pierluigi Donna, l’agronomo che da anni ormai guida la strategia enologica complessiva dell’azienda vitivinicola Barone Pizzini, vi sarà finalmente chiaro che cosa significa che «il vino si fa innanzitutto in vigna». È il rigore delle sue convinzioni sulla sostenibilità ambientale, sposate appieno dal presidente Ugo Colombo e dal dinamico vicepresidente Silvano Brescianini, ad aver determinato intorno agli anni ’90 una svolta bio destinata a mutare la fisionomia stessa di produzione di questa solida realtà bresciana.
Nell’orizzonte di questa strategia, il cui rafforzarsi è ben visibile nell’annuncio della creazione di un Franciacorta vegan, ad essere attualmente oggetto di sperimentazione da parte di Barone Pizzini è un vitigno autoctono da poco entrato nel disciplinare della DOCG Franciacorta: l’erbamat, che dal 2017 si è aggiunto alle uve chardonnay, pinot bianco e pinot nero, fino a quel momento le uniche consentite per dar vita al metodo classico prodotto su queste colline lombarde e riconosciuto prima come DOC e successivamente, nel 1995, come DOCG.
Per le sue caratteristiche l’erbamat, di cui si trova traccia già in alcuni documenti del ‘500, è un vitigno molto particolare rispetto a quelli che fino al 2016 erano consentiti per dar vita al Franciacorta: la sua maturazione tardiva, la sua acidità spiccata, i suoi polifenoli bassi, e la sua assai contenuta aromaticità, interagendo con le altre uve ammesse per creare il Franciacorta, sembrano destinate a dischiudere a quest’ultimo nuove potenzialità. Proprio quelle che Barone Pizzini sta esplorando attraverso una serie di nuovi metodo classico extra-brut bio destinati ad uscire in successione: Tesi 1, Tesi 2 e Tesi 3.
Tesi 1, nato in 6.000 bottiglie uscite fresche di cantina,è il frutto di un dosaggio che amalgama efficacemente il 60% di uve erbamat con il 20% di chardonnay e il 20% di pinot nero. E il risultato – degustato a Torino nel suggestivo contesto del ristorante Del Cambio – è apparso sorprendente, visto che il nuovo spumante ha dimostrato di avere una personalità tutta sua. La nota piacevolmente acidula che il suo fine perlage lascia sul palato dimostra ampiamente come la strada intrapresa da Barone Pizzini possa davvero portare lontano, facendo dell’erbamat una carta vincente del Franciacorta del futuro.
Testo di Piergiuseppe Bernardi
Il grave impatto ambientale che si profila sarebbe un cocktail micidiale di distruzione per i territori e di tutto il patrimonio ampelografico italiano.
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