Credibilità dell’informazione

di Andrea Zanfi

Le domande che mi faccio spesso sono riferite a quale valore abbia oggi la comunicazione nel settore del vino e del food nei confronti del sistema sociale e quanta indipendenza e credibilità continui ad avere per i mercati e il consumatore finale; quali siano gli strumenti migliori da utilizzare per praticarla; come li usiamo e quale virtù debba avere chi è preposto a fare da comunicatore e se c’è chi è in grado di analizzare le differenze esistenti tra “fuffa” e sostanza. Mi hanno insegnato che comunicare vuol dire condividere e non intraprendere viaggi unidirezionali, limitandosi all’analisi della notizia. Mi hanno insegnato a relazionarmi con tutto ciò che circonda l’informazione, adattando il linguaggio che è figlio dell’integrazione con altre discipline, come la psicologia, la metafisica della realtà e degli aspetti comuni, l’epistemologia dei limiti della natura e della conoscenza, così come la logica formale e materiale del pensiero, la linguistica e la semantica della parola come trasmissione e interpretazione dei modi con cui la usiamo. Ma c’è dell’altro, perché, secondo la mia personale visione, a queste scienze è necessario, se non indispensabile, coniugarne altre, come la conoscenza dell’Arte nelle sue molteplici sfaccettature a partire dal design, dall’architettura, dalla fotografia, dalla pittura, imparando a conoscere Michelangelo, Raffaello, Giotto, Caravaggio, Picasso; fino poi ad ascoltare il valore del linguaggio teatrale, quello cinematografico e della musica, riuscendo di fatto ad ampliare i propri orizzonti, acculturandosi e interfacciandosi con la quotidianità. C’è la necessità, se non il dovere, d’intraprendere un viaggio nell’interrelazione che altri hanno con la loro vita, con la stessa creatività che si adoperano a utilizzare per renderla migliore o vivibile, scoprendo quale sia il valore della “novità” e dove sia il buco dell’ipocrisia di chi non ama il bello, scivolando fino ad analizzare dove sia il lato oscuro del “Caino” di turno che ci attraversa la strada. Se questo è chiaro a tutti, lo è altrettanto capire che comunicare non è cosa semplice e non solo per quanto indicato sopra, ma perché le scienze così come la didattica appresa all’università della vita, sono in continua trasformazione e modificano i modi di utilizzare la parola e il modo di utilizzare gli strumenti per comunicare che spaziano dall’oratoria, alla carta stampata, dall’immagine alla virtualità del web e dei social.

Ma quale comunicazione rappresenta la realtà?

È in questa risposta che mi gioco il ruolo ontologico con il mio referente.

Saper rispondere a questa domanda offre enormi vantaggi.

L’etica del comunicare è uguale per ogni tipologia sociale in cui è applicata, alla base di tutto ci sono delle regole da rispettare e un sistema ontologico al quale far riferimento.

È ovvio che oggi l’eticità nel comunicare è in crisi.

Sono in molti a proiettarsi verso il soddisfacimento delle esigenze dei grandi gruppi, delle aziende leader, dei poteri economicamente forti; così come tanti altri, senza avere una ben che minima trasparenza intellettuale, scevra da servilismi e inutili compromessi, si lasciano trasportare dalla corrente e per mantenere la posizione si travestono d’Arlecchino, servo di cento padroni. Sono pochi a praticare una comunicazione d’inchiesta e altrettanto rare sono le testate giornalistiche che evidenziano i reali motivi della crisi che avvolge moltissime aziende vitivinicole o che menzionano la catastrofica diminuzione dei consumi di vino. Sono tanti problemi che si interfacciano con il sistema produttivo, consortile, associativo, culturale, colturale, politico e programmatico del vino e del comparto agroalimentare in generale. Ma, come sempre, è molto meglio far finta di niente, partecipare ai fuochi di artificio che il settore attiva giornalmente. Del resto, come si usa dire, “domani è un altro giorno” e si vedrà cosa accadrà.