Denominazioni D’origine tra opportunità e criticità una pura formalità?

di Alessandro Bianchi

A settembre è stato organizzato ad Asti dall’Accademia italiana della vite e del vino, in occasione della Douja d’Or, il panel vivace e interessante La riforma delle denominazioni d’origine tra opportunità e criticità: un dibattito per il futuro del vino. Lo scopo era fare il punto della situazione sul valore e ruolo delle dop e igp in un momento in cui pare che i segnali del mercato mostrino quanto siano necessarie modifiche strutturali ai disciplinari, e di come il settore agroalimentare europeo abbia bisogno di una riforma urgente al fine di potersi adeguare a standard che, per fare un esempio, negli Stati Uniti sono ormai realtà da anni. Per riprendere le parole del sindaco di Asti Maurizio Rasero, la scelta di organizzare lì il dibattito durante i giorni della Douja d’Or si è rivelata una scelta felice. La città piemontese da secoli è al centro di un sistema produttivo vinicolo di grande livello; qui inoltre sono nati i metodi di spumantizzazione e il primo vino bio, senza contare che il Piemonte è sempre stato una regione che ha utilizzato la denominazione per certificare la qualità dei propri prodotti. Tra gli interventi più stimolanti seguiti al saluto iniziale di Rosario di Lorenzo, presidente dell’Accademia della vite e del vino, vanno sicuramente citati quelli di Julian Alston dell’Università della California e del professor Davide Gaeta dell’Università di Verona (si veda l’intervista sul canale YouTube di “Bubble’s Italia”). Il primo ha messo in luce quanto un sistema ben organizzato (il riferimento è alla Napa Valley californiana) possa orientare, in maniera favorevole per tutta la filiera, non solo gli stakeholders ma anche il consumatore finale, dato riscontrabile nell’allineamento di tutti gli attori coinvolti. Il professor Gaeta ha invece rimarcato quanto i disciplinari dop impongano restrizioni di offerta e conseguenti aumenti di prezzo.

La domanda che tutti dovremmo farci è quanto le indicazioni di denominazione forniscano in effetti segnali di qualità utili. Durante l’incontro, si è posto in maniera incisiva il problema, che è tutto italiano, di una mancanza di visione unitaria. Qui da noi si parla con voci difformi; i principali attori del mercato sono più attenti alla salvaguardia delle proprie prerogative e autonomie, dimenticandosi che quello vinicolo è un settore trainante per tutta la filiera agroalimentare. La questione centrale diventa allora quella di razionalizzare e semplificare un sistema senza danneggiare il viticoltore. Non dimentichiamoci mai che una riforma deve portare opportunità per tutti, altrimenti resta una riforma monca. Da più parti è stato segnalato quanto il governo dal suo insediamento abbia manifestato grande attenzione nei confronti del comparto: ma è sufficiente che si insista sul concetto di “sovranità alimentare” per cambiare le sorti del settore (che per inciso risulta strategico per i numeri relativi a produzione e fatturato complessivo)? E da qui una seconda domanda: puntare tutto sulle doc e le docg è indice di una selezione relativa alla reale qualità del prodotto? Tutti i relatori del convegno hanno sottolineato l’importanza della promozione e della comunicazione del prodotto; ma anche qui la domanda sorge spontanea: vengono veicolati i giusti contenuti? Quante volte ci troviamo di fronte a una comunicazione autoreferenziale incapace di intercettare i target di riferimento diffondendo i corretti valori del prodotto? Come sottolineato in maniera puntuale da Claudio Biondi, presidente del Consorzio del Lambrusco, troppo spesso si sottovaluta il mercato dei giovani, quei millennials che diventeranno consumatori del futuro; questa fascia non è prescindibile per chi nutra obiettivi ambiziosi. Eppure, proprio i giovani tra i venti e trent’anni oggi sembrano molto più orientati a bere birra e superalcolici edulcorati tramite soft drinks che non a conoscere un prodotto in grado di rappresentare il top che il made in Italy abbia da offrire al mondo. Ovviamente solo i vini buoni vanno promossi; un vino cattivo trascina fuori dal mercato il prodotto che tante persone sono in grado di creare con sforzo, professionalità e competenza.