Donato Lanati: quando l’enologia sposa la scienza

Di Andrea Matteucci

Empatico, istrionico, istintivo, competente e appassionato. Una larga parte della carta d’identità di Donato Lanati, un’istituzione nel mondo dell’enologia, potrebbe sintetizzarsi in questo modo. Ma suonerebbe riduttivo non raccontarne i plus professionali: del resto, come da sua home page, se non fosse diventato enologo sarebbe entomologo. O meglio, enologo-scienziato, perché il suo metodo è basato sulla ricerca scientifica coniugata al rispetto della terra e del lavoro dell’uomo. Chi scrive avuto modo di conoscerlo a Grinzane Cavour: il protagonista, a parte lui, era il Barolo. La sensazione, a seguito di una sua lectio magistralis, è stata quella di trovarsi di fronte a un relatore appassionato; mentre volgevo lo sguardo a cercare i volti dell’uditorio, notavo che catalizzava l’attenzione. L’ho quindi voluto intervistare, con un focus importante sul mondo degli spumanti.

Partiamo dal futuro: come sarà il 2024 per gli spumanti?
“La vendemmia 2023 è stata un bell’esempio di cambiamento climatico e questo impone una visione più ampia circa i parametri di raccolta; non esiste solo l’acido malico che, sino a oggi, è stato visto come elemento principale di freschezza e qualità. Se l’uva non è matura nella sua miriade di composti, come per esempio quelli che concorrono a formare l’estratto o i precursori degli aromi, è come voler mettere le ali a un cammello. Le uve acerbe danno sensazioni di disequilibrio e di amaro. Raccogliere uve sempre meno mature, per eludere gli effetti di un chiaro cambiamento climatico, mi pare semplicistico e non è la strada corretta”.

Andando oltre l’anno prossimo, che futuro possiamo prevedere nella sfera di cristallo?
“I cambiamenti climatici, di temperatura, la crisi economica rappresentano per noi innanzitutto un problema emotivo. Dal punto di vista pratico temo non potremo fare granché; ma potremo capire con un po’ di empatia quali sono e come stanno cambiando i gusti dei consumatori, che poi sono anche i nostri, per offrire sapori sinceri, frizzanti e sicuri, nuovi e riconoscibili”.

Empatia e sincerità, ma anche approccio scientifico. Che matrimonio ne deriva?
“Quello che troviamo in un bicchiere – colore, gusto, profumo – è determinato delle molecole, e la qualità dipende da quanto queste molecole sono in armonia, perché è tale armonia che percepiamo come piacere e che ci fa provare delle emozioni. Queste ultime sono determinate anche da quello che sta dentro il bicchiere, ma soprattutto da ciò che gli sta attorno, la sua storia, il suo territorio, i suoi uomini. Condurre un’enologia oggettiva significa ricercare dei numeri per fare confronti, capire cosa cambia in quella maturazione degli acini nell’affinamento o nella presa di spuma e, soprattutto, percepire l’empatia del produttore con il proprio territorio. Possiamo chiamarla scienza? Meglio forse neuroscienza ma anche storia, conoscenza, cultura, emozioni”.

Il vino, per lei, è passione, lavoro, competenza e comunicazione. E per gli spumanti? Amore a prima vista?
“Passione sì, a prima vista mi pare un po’ riduttivo, consideri che con un’uva Pinot Nero creiamo un vino bianco frizzante, quindi direi di più: un amore eterno con il quale ci devono essere complicità, dedizione e comprensione reciproca. Lavoro e competenza con gli spumanti più che mai! Non si possono conoscere gli spumanti a prescindere dalla loro storia e da quella degli uomini che si sono dedicati a loro. Primo fra tutti Pasteur, che ha scoperto gli agenti della fermentazione, i lieviti, perché fino ad allora le cause della presa di spuma erano misteriose e si utilizzavano ricette empiriche e bizzarre come aggiunte di allume, droghe o sterco di piccione…”

Una provocazione: che cosa farà da grande?
“Senz’altro l’enologo; vorrei studiare più a fondo il vino e il legame con il suo territorio, avere un dialogo con la sua anima per capire da dove nasce e come può esprimerla, con una particolare dedizione agli spumanti e agli uomini che gli hanno permesso di arrivare fin qui”.