L’asino

Di Oreste Azzeccagarburgli

Che qualcosa stesse cambiando nel mondo lo dovevo capire – la Brexit, la pandemia, un Presidente americano che ispira l’assalto al Campidoglio, la guerra in Ucraina ed ora il Medio Oriente – ma che nel settore enologico la Francia perdesse quel ruolo di faro, di guida, di ispirazione per tutto il mondo che ruota attorno alla produzione del vino, quello non me lo sarei mai aspettato. Si, perché – se nella determinazione dei trend dei consumi enologici, il tema è sempre stato appannaggio degli inglesi, che hanno letteralmente sedotto e abbandonato, creato e distrutto (in termini commerciali), le più blasonate denominazioni del vecchio continente – la Francia ha sempre rappresentato un modello, sia dal punto di vista organizzativo che produttivo, per le più importanti denominazioni al mondo.

Oggi però, forse vittima del proprio sciovinismo, la Francia si trova, su molti fronti, a condurre battaglie di retroguardia, quelle che gli strateghi definisco “battaglie in difesa delle forze in ripiegamento”. Le ragioni? Tutte da analizzare e da comprendere, nel tentativo, magari, di non commettere gli stessi errori. Di cosa parlo? I temi sono diversi e, se si vuole, ad un primo sguardo, nemmeno legati fra loro. Prendiamone alcuni, il primo fra tutti, l’estirpazione “sanitaria” di circa un terzo dei vigneti bordolesi, ufficialmente per far fronte al diffondersi di alcune fitopatie che stanno flagellando la regione, in realtà per riequilibrare la produzione alle esigenze del mercato. Un’operazione che, secondo quanto è dato a sapere, potrebbe comportare oneri per circa 57 milioni di euro e che è stata determinata, nel tempo, dalla scelta di assecondare pedissequamente una “domanda” tumultuosa, in termini di volume, e del mondo della comunicazione, per ciò che concerne le caratteristiche del prodotto. Grandi numeri, una gradazione alcolica sostenuta ed estratti particolarmente elevati, mal si addicono ad un consumo moderno.

Nel frattempo, anche altre denominazioni ci fanno un pensierino, mentre la distillazione “di crisi” 2023 potrebbe assorbire circa 3 milioni di ettolitri, pari a circa il 7% della produzione dello scorso anno. Tutto qui? Assolutamente no. Anche sul fronte della visione del futuro dell’enologia europea i viticoltori francesi sembrano aver mancato un appuntamento. Sto parlando dell’appuntamento con la riforma europea delle IG che poteva rappresentare un’opportunità per il mondo del vino, se solo ci si fosse voluti occupare di contenuti invece di fermarsi ad un aprioristico “No”. Un atteggiamento sbagliato e, per molti versi, scorretto rispetto a quanti avevano una visione diversa e più aperturista. Alla fine, sono convinto che la riforma si farà ma arriverà senza quella forza che avrebbe potuto avere se tutti avessero remato dalla stessa parte nel ribadire, il ruolo, la funzione e se si vuole più in generale il senso di un’Indicazione Geografica nel panorama dell’agroalimentare europeo. Un contesto, quello comunitario, che sembra sempre più intenzionato ad avvantaggiare le produzioni industriali a scapito di quelle agricole, adducendo a seconda dei casi, supposte ragioni ambientali, etiche, quando non anche sanitarie.

A questo punto cosa fare? Rimboccarsi le maniche e comprendere che il futuro dovrà vedere un maggiore impegno del nostro paese, un protagonismo che conti sulle forze intellettuali di un sistema produttivo e di una classe dirigente che ha la forza e le competenze per un “rinascimento dell’agroalimentare italiano”.