Quando i soldi pubblici nel vino fanno male

Di Fabio Piccoli

Qualche giorno fa sono stato aggredito verbalmente da un piccolo produttore di vino veneto.
Mi si è scagliato contro accusandomi di essere un giornalista che sposa solo la causa dei grandi produttori. Gli ho chiesto allora, provando a non perdere la calma, cosa gli faceva pensare una cosa del genere? “Perché hai scritto che i finanziamenti dell’Ocm vino per la promozione sui Paesi terzi dovrebbero andare solo alle aziende capaci di sfruttarle al meglio e che le piccole imprese sarebbe meglio si concentrassero sull’enoturismo invece che sull’export”.
Gli ho ribattuto che sono convinto che le risorse pubbliche sono efficaci solo se indirizzate ad aziende capaci di sfruttarle al meglio a prescindere che esse siano grandi o piccole.
Ma che è anche vero che nella mia esperienza di tanti anni sui mercati internazionali ho incontrato spesso piccole realtà (ma anche qualche grande impresa) che improvvisavano la loro attività export grazie a fondi pubblici ma senza nessuna capacità di presidiarla degnamente.
Quindi ho esortato il piccolo produttore veneto a non vedermi come un nemico delle piccole imprese (cosa peraltro veramente lontanissima dalla realtà) ma di essere oggettivo e comprendere se i finanziamenti pubblici che può ottenere sono per lui preziosi per migliorare, supportare la sua attività di export. E per attività di export intendo la sua capacità non solo di selezionare i giusti importatori (questa sarebbe anche la parte più “semplice”), ma poi di poterli accompagnare nello sviluppo della notorietà del proprio brand negli anni. Troppe volte, infatti, ci si imbatte in realtà produttive che non hanno una struttura dedicata all’export management degna di questo nome. Se penso a quante aziende ho incontrato in giro per il mondo in fiere e b2b che non avevano la più pallida idea di come condurre una trattativa commerciale con un importatore, di come costruire un listino prezzi adeguato per i mercati internazionali, di come sviluppare una comunicazione coerente con il target internazionale che si deve intercettare. Dare soldi pubblici a realtà di questo genere, lo ripeto senza paura di essere aggredito da qualcuno, la ritengo una iattura sia per quella realtà che per tutto il nostro sistema vitivinicolo. E mi dispiace che tutt’oggi i criteri di finanziamento pubblico nel settore vitivinicolo abbiano pochissimo di meritocratico e si continui a privilegiare la capacità “burocratica” rispetto a quella “operativa”. Ma questa riflessione non riguarda solo le piccole imprese anche se alcune di esse potrebbero veramente migliorare le loro prestazioni sul mercato interno a partire dal miglioramento della loro capacità di accoglienza. Dire che nel mondo siamo un fanalino di coda sulla capitalizzazione delle nostre potenzialità enoturistiche non è un’esagerazione. E questo non va vissuto come una sorta di complesso ma come uno stimolo per crederci maggiormente e investire finalmente le giuste risorse.
E a proposito ancora di risorse pubbliche sarebbe molto meglio che iniziassero ad indirizzarsi maggiormente verso il supporto allo sviluppo dell’offerta enoturistica delle nostre aziende.
Abbiamo un mare di turisti stranieri che fortunatamente vengono ancora a trovarci e lambiscono spesso tanti nostri territori del vino. Ma fino ad oggi quanto siamo stati in grado di intercettare questi flussi turistici?
Molto poco, ed è per questo che mi ostino a credere che se non diventiamo maggiormente “profeti in Patria” rischiamo di essere sempre meno appetibili anche sui mercati internazionali.
Farci conoscere di più e meglio in casa nostra, infatti, è propedeutico a diventare non solo più popolari all’estero ma anche veder riconosciuto un posizionamento migliore alle nostre denominazioni, ai nostri brand del vino. Se poi penso a quante denominazioni poco note e diffuse sui mercati che abbiamo nel nostro Paese, ancor di più ritengo che l’aumento della visibilità in casa sia indispensabile. In conclusione, quindi, sottolineo che non sono allergico ai soldi pubblici, non faccio facile demagogia contro lo spreco di risorse pubbliche, ma proprio perché le ritengo importanti è fondamentale che non vengano distribuite in maniera scriteriata drogando così il nostro sistema vitivinicolo. Abbiamo molte aziende che fortunatamente sono e sarebbero pronte per essere supportate al meglio grazie a fondi comunitari. Molte di queste, però, sono scoraggiate da una burocrazia insensata, folle, che privilegia spesso le realtà che non meriterebbero nemmeno una vecchia lira.